Recensione del libro di poesie "LE STELLE SUL SOFFITTO" DI Ersilia Anna Petillo
"In quel che dove io vago alla continua mia ricerca". Due soli versi per riassumere l'intera silloge di Ersilia Anna Petillo. La giovane poetessa dalla voce sottile e raffinata scivola con disinvoltura sulla colata lavica delle emozioni umane più recondite e, attraverso la propria singolare esperienza conoscitiva, ci accompagna alla scoperta dei meandri del vivere. E seppure invoca l' oscura notte in cui nascondersi e "trovare rifugio da questo frastuono che il vivere ammala", ella si spinge con coraggio nel fondo abissale della notte; si inoltra lungo sentieri dispersi e valli che "come demoni sorgono nere sulle morte distese d' acqua"; attraversa le proprie paure e si spinge al limite dell' io fino a sentire la vertigine del vuoto. In ogni lirica della Petillo si respira l' anelito al viaggio, la spasmodica ansia di vita che spinge la poetessa oltre i luoghi fisici del quotidiano, più in là dell' effimera giostra del tempo, fino a travalicare il sogno che altro non è l'anticamera oscura della morte. Nei suoi versi non vi è confine tra viaggio e viaggiatore; l' uno inizia e si continua nel divenire fluido di pensieri ed emozioni dell' altro. L' inchiostro della penna scava infiniti binari su cui sfrecciano in picchiata parole e vitalità. "Tutto è vibrazione", melodia, desiderio perfino il sangue di ferite ancestrali si confonde col rosso di un tramonto In un universo dove tutto scorre in un viaggio senza ritorno, la salvazione dall' oblio e dalla morte certa c'è e si chiama Amore. Per la giovane poetessa non sarà la bellezza, anch'essa effimera vittima del ciclo delle stagioni, a dilatare il tempo, bensì l' intima condivisione con l'altro che è nel fremito carnale di due amanti, ma anche nell' amicizia che da calore e nella fratellanza universale che non fa soffrire: questo è il suo messaggio più autentico. Le stelle dipinte sul soffitto che si rincorrono a vicenda non sono altro che amazzoni frementi di vita che ci chiedono di lasciarle libere di danzare.
VERA TUMMILLO.
Le stelle sul soffitto
Un Blog che diffonde magia...
Un Blog che diffonde magia...la stessa racchiusa nel mio libro,anzi la mia opera prima "Le stelle sul soffitto"
e non solo...vi aspettano racconti, vaneggiamenti e molto altro ancora...di una "FORSE" scrittrice!
e non solo...vi aspettano racconti, vaneggiamenti e molto altro ancora...di una "FORSE" scrittrice!
martedì 9 aprile 2013
martedì 12 febbraio 2013
Come le finestre della mia città
Come le
finestre della mia città
Conta
sbagliare in questa vita
con la
consapevolezza di avere
abbastanza
amore
da
bastarsi da soli
ignorando
le convinzioni altrui
trattenendo
il bisogno primordiale,
oscuro,
individuale
e se i
richiami soffocano
allora è
giunto il momento
di agire
d’impeto
senza
calcoli matematici
che
segnano orari d’arrivo e partenza
l’essenziale
è percepire l’avvento
di quel
che sarà senza conoscerne
forma
suono
colore
sostanza.
Come le
finestre della mia città
abbraccio
l’aria
che si
scontra col mio corpo
saluto i
giorni
ed
inizio il silenzio
osservo
contemplando a vuoti pensieri
l’accensione
del mondo
mi
sforzo di comprenderne i perché,
le
direzioni, i piani.
Come le
finestre della mia città
guardo
l’orizzonte
in
attesa della tempesta.
Tratto dalla raccolta "Sangue Sparso" di Ersilia Anna Petillo
Sotto l' Arco
Mara aveva compiuto da poco sedici anni,
quando il padre le comunicò che soldi non ce n’erano per sfamare le bocche di
tutti e nove i figli, che si era fatta grande ed era pure bella. Mara non era
stupida, da quella frase aveva capito cosa il padre stava cercando di dirle
senza essere troppo esplicito. Lei unica figlia femmina, che dopo la morte
della madre nel partorire l’ultimo dei suoi fratelli, con il quale aveva otto
anni di differenza si era occupata della casa meglio di una donna fatta e
sposata. Non conosceva la stanchezza, se sentiva qualcuno dei più piccoli
lamentarsi per qualcosa di stupido e superficiale, lo prendeva a schiaffi così
forte da farlo pisciare addosso. Era sempre triste, non sorrideva mai, forse
perché non c’era niente di cui gioire, non ne aveva neanche il tempo. Sempre
indaffarata tra il bucato, la preparazione del pranzo, della cena, le pulizie
domestiche, la spesa, le commissioni. Andava a fare anche le pulizie a
domicilio per aiutare il padre con le spese e portare qualcosa di soldi in più
in casa. Si mantenevano con un paio di lotti di terra, che avevano attaccati alla
casa, li coltivavano con qualsiasi cosa, che poi vendevano ai vicini o al
mercato. Quanto sudore Mara ci metteva in quella terra, si svegliava presto la
mattina, prima che il sole sorgeva per occuparsi delle piante, non tentava
nemmeno di svegliare il padre, dopo che l’ultima volta che ci aveva provato
l’aveva presa a bastonate. Franchino, l’ubriacone del paese, così era stato
etichettato, la figlia a casa a sgobbare, a provvedere alla famiglia e lui, che
dopo aver passato qualche ora in campagna, se ne andava
al bar in piazza ad ubriacarsi e a sperperare quei quattro soldi che
guadagnava. Quante volte Mara era dovuta alzarsi nel cuore della notte, per
andare a raccattarlo in strada fradicio di birra e di chissà quali altri tipi
di liquore era riuscito a ingurgitare. Per saldare gli svariati conti che il
padre aveva aperto al bar fu costretta a vendere quel poco oro, che aveva
ricevuto come regalo il giorno del battesimo e che la madre le aveva nascosto
gelosamente. Quel vizio non era nato con la scomparsa di sua moglie era
vecchio, lo aveva sempre avuto, la povera Anna, sua moglie, era costretta a
chiudersi in bagno per sfuggire ai suoi attimi di follia, quando tornava casa
zuppo di alcol peggio di una spugna. Alcuni dei figli che Franchino aveva generato
in Anna erano stato il frutto di indegne violenze, che ripetutamente la
poverina sopportava, perché altrimenti quel mostro avrebbe iniziato a
prendersela con Mara. Un padre che odiava sua figlia questo era Franchino e non
faceva niente per nasconderlo. La poverina non gli aveva fatto nulla, era solo
colpevole di non essere nata maschio. Per lui una priorità. La morte di Anna
era stata per Mara una condanna a morte. Non c’ era più nessuno a difenderla, a
insegnarle la vita come andava, cosa era giusta e cosa sbagliato. La ragazza a
proprie spese dovette capire a quale triste destino stava andando incontro e a
quale futuro era stata promessa in sposa. Quante botte ogni giorno era
costretta a prendere senza motivo, all’ inizio piangeva e forte, poi col passare
del tempo e degli anni scendevano solo le lacrime, più per il dolore che
sentiva quando Franchino la percuoteva che per il suo stato psicologico. Si era
temprata non solo nel fisico, ma anche nello spirito. Era divenuta prima del
tempo una donna, non dimostrava la sua giovane età anche nel modo di vestire,
nei gesti, nei discorsi. Quante cicatrici nascondeva sotto i vestiti, più di
quanto in realtà si riuscivano a contare. Era bella Mara, assomigliava a sua
madre così le dicevano in paese. Alta, formosa, carnagione bianca, leggermente
rosata, occhi verdi come smeraldi, capelli castani lunghi un po’ ribelli, naso
delicato e bocca carnosa, rossa. Aveva le mani grandi Mara, quando usciva a
fare la spesa e si portava dietro i più piccoli nel tornare a casa non solo
stringeva tra le mani le buste cariche di roba, ma anche le mani dei suoi
fratelli. Spesso le usava per gesticolare quando parlava, era il suo modo di
fare, poi d’ improvviso smise di farlo, perché un giorno mentre stava lavando i
vetri di casa, vide in che stato si erano ridotte. Tutte screpolate, piene di
tagli, scottature, le unghie erano spezzate in più punti. Se ne vergognò le
strinse all’ interno, formò dei pugni e ripensò a sua madre. Si ricordò di
tutte le volte che le teneva le mani, che le accarezzava i capelli, il viso e
si vergognò di ciò che le sue erano diventate, senza amore, senza dolcezza o
delicatezza. Mara era d’accordo con suo padre sul fatto che ci fossero davvero
troppe bocche da sfamare in quella casa e nonostante più volte le era mancato
il coraggio di aprire la porta di quella casa ed andarsene via, l’ opportunità
di rendere quella speranza realtà le era stata servita su un vassoio d’argento,
ma non nei termini che lei pensava. Mara corse a fare la valigia, senza
obbiettare nulla a quella decisione che il padre le aveva imposto, mentre piegava i pochi vestiti cercava di
farsi i conti in tasca e pensava “Chissà se con i pochi soldi che ho messo da
parte riesco a pagarci un affitto. Mi arrangerò, in qualche modo farò.” Un
pensiero che continuava ad assillarla anche quando dopo aver salutato i
fratelli in lacrime, prese la sua strada mentre Franchino la accompagnava
stringendole la mano e non ne capiva il motivo o dove stavano andando. Era
frastornata, confusa, quella sera era giunta con così tante novità da
sorprenderla e sconvolgerle quella routine, alla quale era stata abituata.
Prima di giungere a qualsiasi tipo di conclusione, che poteva spiegarle, dove
suo padre la stava portando, si ritrovarono sotto l’ arco del paese, dove una
donnaccia di quelle che Franchino conosceva e aveva preso a frequentare dopo la
morte di sua moglie, sostava in attesa di qualche cliente. Ma quella donna,
quella sera non stava aspettando affatto alcun cliente, stava aspettando Mara.
Franchino l’aveva venduta per andarsi a fare un giro di bicchiere in piazza,
subito dopo aver stipulato quella compravendita. Una puttana, ecco cosa era
diventata Mara. Era passata da un padrone all’ altro, nel giro di due passi e a
poca distante da casa. Lei che ancora non aveva dato il suo primo bacio, quella
che i giovanotti del paese li faceva solo sognare quando passava, senza
degnarli neanche di uno sguardo o di una ben che minima attenzione, era a
disposizione di tutti da quel momento in poi. Lei che dalla vita si aspettava
una carezza, un po’ d’ amore ora lo poteva ricevere su appuntamento,
guadagnandoci anche parecchio. Quella donnaccia concluso l’affare se la portò
via, nella stradina che si apriva di lato proprio sotto all’ arco. Arrivò ai
piedi di un casone stretto ed alto, tutto illuminato dentro. Si sentiva anche
della musica provenire dal suo interno, così forte che Mara pensò che forse
c’era qualche festa. Prima di entrare Gianna, questo era il nome di quella
donna, la informò che dentro si stava, effettivamente svolgendo una festa, come
lei sospettava, ma in suo onore. Quello era il benvenuto che le signore di
sotto l’ arco le avevano preparato. Che strano battesimo pensò Mara, che
entrata in un nuovo carcere inaugurò le sue prime volte. Fino ad allora non aveva
mai bevuto qualcosa di alcolico, ballato fino a tardi passando da un uomo all’
altro. Sino ad allora non aveva fatto l’ amore. Gianna disse che era sbronza e
incosciente al punto giusto, per dare il via alla sua carriera, esperta del
settore e padrona della baracca e delle sue sette puttane compresa la nuova
arrivata. Colui che ebbe l’onore di avviare Mara a quella nuova vita fu un
giovane studente universitario, futuro ingegnere. Il suo nome era Guido. Non
era del paese, lui era un ragazzo di città, che di tanto in tanto veniva a trovare i nonni e si intratteneva con le
sue speciali amiche. Era ricco Guido, bello, affascinante, un uomo di mondo.
Poteva avere qualsiasi donna ma come lui sosteneva, solo quelle di sotto l’
arco sapevano amarlo. Qualcuno poteva pensare che in tutta quella orribile
faccenda, Mara, almeno, era stata fortunata ad avere quel ragazzo come suo
primo amante. Quando la ragazza barcollante raggiunse la sua stanza al piano
superiore, a stento riuscì a riconoscere il letto dove si trovava, per gettarsi
sopra. Poco dopo Guido fece la sua entrata. Si avvicinò a quel corpo adagio e
si sedette accanto a lei senza dire niente. Allungò la mano tra i suoi capelli,
ne sentì il profumo poi prese a scostarglieli dal volto. «Mi accarezzi come mi
accarezzava mia madre» gli disse Mara in lacrime. I due presero a conversare,
lo fecero per tutta la notte. La giovane raccontò a Guido ciò che voleva sapere
di lei, senza omettere alcuna bruttura gli raccontò di suo padre, di cosa le
aveva fatto, del perché si trovava in quella casa. Si addolcì solo alla fine,
quando il discorso finì per cadere su sua madre. Non accadde nient’ altro,
trascorsero la notte così e si addormentarono all’ alba. Quando Mara si svegliò
Guido non c’era accanto a lei, era andato già via e le aveva lasciato sul
comodino quanto gli spettava, nonostante non gli si era concessa carnalmente.
Uscita dalla stanza chiese alle sue coinquiline di Gianna, la indirizzarono al
piano di sotto in cucina. Mara scese le scale e la raggiunse. « Era ora, siamo
quasi pronte per pranzare. Non ti preoccupare della sveglia al mattino, qui non
abbiamo orari da rispettare visto che la notte facciamo tardi» disse Gianna. La
novizia, quasi imbarazzata infilò la mano nella tasca dei vestiti e tirò fuori
i soldi che Guido le aveva lasciato, li allungò a Gianna senza dirle niente.
«Sembra che tu sappia già come funzionano le cose qui» sentenziò la
proprietaria del bordello, che continuò spiegandole che sarebbe stata lei a
prenderle gli appuntamenti e a procurargli un giro sicuro di clienti. Gianna
non era solo la proprietaria ma anche l’ amministratrice di quel bordello.
Tutte le sere usciva di casa, abiti succinti e trucco provocante, e si
posizionava, sigaretta tra le mani, sotto l’arco. Era lei che adescava ed accoglieva
i clienti indirizzandoli verso la casa del piacere, dove le ragazze poi
dovevano fare il resto. Mara non doveva pagare alcun affitto lì, da ogni
entrata veniva presa una percentuale per Gianna e i servizi che la donna le
metteva a disposizione come la biancheria pulita, il cibo, acqua, luce e il
resto alla fine del mese le veniva dato come compenso per il lavoro svolto.
«Hai capito?» le chiese Gianna. «Certo» rispose Mara, che se ne tornò in camera
dove si rinchiuse per tutta la giornata saltando pranzo e cena, in attesa che
la sera giungesse. Come le batteva forte
il cuore, quante domande in testa le rimbombavano fino quasi a fargliela
scoppiare, l’ansia le strozzava il respiro, si sentiva soffocare, cominciò con
l’andare su e giù per quella stanza nervosamente. Poi dei colpi alla porta la
bloccarono. “ Cosa faccio” pensò e ancora “Apro. Forse è stata la mia
immaginazione”. Altri colpi bussarono alla sua porta, poi una voce «Mara, posso
entrare? Sono Guido». Mara si precipitò ad aprire quella porta. Era felice nel
vedere che quel ragazzo, che la sera prima le aveva fatto compagnia era
tornato. Mara cercò di parlargli dei soldi, voleva ringraziarlo per averla
pagata anche se non era accaduto nulla ma Guido, forse inteso il discorso,
deviò chiedendole come aveva passato la sua prima giornata nel bordello. Quando
seppe, che non aveva toccato cibo né a pranzo, né a cena e che non era uscita
da lì dentro, le ordinò di darsi una sistemata «Ti aspetto giù in macchina,
andiamo a cena fuori». Per Mara quella fu la sera più bella della sua vita, ma
anche la sua prima volta in compagnia di un ragazzo, insomma il suo primo
appuntamento. Si sentiva bellissima, anche se non indossava nulla di speciale,
perché Guido la faceva sentire così, le faceva sempre troppi complimenti. Dopo
aver cenato i due fecero una passeggiata, poco distante dal ristorante dove
erano stati. Come si abbracciavano, sembravano due fidanzati che stavano
insieme da anni e in uno slancio emozionale Mara si avvicinò alle labbra di
Guido e lo baciò. «Hai rovinato tutto» disse il ragazzo. Mara si spaventò, nel
vedere l’espressione sul viso di lui incupirsi, tutta d’ un tratto. Guido le
afferrò il braccio e la portò di forza in macchina, accese la vettura e
cominciò a guidare spedito in direzione del bordello. Mara voleva chiedergli
cosa aveva fatto di così grave, voleva cercare di calmarlo ma non ne aveva il
coraggio. Giunti a destinazione, Guido la riafferrò per il braccio e salì con
lei in camera. Quella sera si consumò la paura, che Mara aveva trattenuto nel
cuore per due giorni. Al mattino quando Guido si alzò per andarsene la trovò
nuda in un angolo della stanza, serrata sulle ginocchia e gli occhi spalancati.
Quel mostro dopo essersi rivestito, tirò fuori dalla tasca alcune banconote e
gliele tirò in faccia. «Siete tutte uguali!» esclamò e se ne andò. Da quel
giorno, Mara divenne la puttana più richiesta di sotto l’arco, tutti la
volevano, Guido le aveva fatto un ottima pubblicità e lei aveva saputo
mantenere alta la sua reputazione. Di un solo uomo fece espressamente richiesta
a Gianna di non volere tra i suoi clienti, Guido. Lei non chiese il perché e
Mara non si perse in alcuna spiegazione. Solo una volta si rividero,
scontrandosi per le scale del bordello «Sei sempre la più bella» le disse Guido.
Quanto male le fece quella frase, pensava di averlo dimenticato, lui quello che
le aveva insegnato a fare la puttana, quello di cui ingenuamente si era
innamorata, quello che credeva essere diverso da tutti gli altri uomini altro
non era che uguale a tutti gli altri clienti, che ogni sera, nel bordello di
sotto l’arco la bella Mara riceveva, regalandogli il suo finto amore come fanno
quelle uguale a lei.
Ersilia Anna Petillo
Racconto tratto dalla raccolta di racconti CimiTown
venerdì 8 febbraio 2013
Bar Mario
Ci sono dei luoghi che diventano un
simbolo, delle vere e proprie istituzioni, da proteggere e valorizzare. Ci sono
dei luoghi in cui ti senti al sicuro a prescindere, dove non importa chi
incontrerai, cosa farai o come ti sentirai una volta giunto lì, se ti sembrerà
simile alla tua casa. Ci sono luoghi come il Bar Mario, dove la sera i ragazzi
si davano appuntamento per bere qualcosa dopo cena, dopo esser usciti con la
fidanzata o la tipa di turno e raccontarsi un po’ come era andata la giornata.
C’era Antonio, aveva venticinque anni e di professione faceva il meccanico. Non
era mai stato bravo a scuola, aveva studiato fino alla quinta elementare, poi
si era dato al lavoro. Era un tipo in gamba, educato, gentile aveva un sorriso
dolce e grande, gli si illuminava il viso quando lo faceva perché strizzava
anche gli occhi ed il naso gli si arricciava. Il mestiere che aveva scelto di
fare, lo portava avanti con coscienza e bravura. Era un asso nel capire, come
mai qualsiasi motore, di qualsiasi tipo di macchina, non funzionava a dovere.
Gli bastava un’ occhiata veloce. Nella
vita privata invece non gli andava mai bene. L’ ultima fidanzata che aveva
avuto, era stata, come sempre, una storia seria tanto che avevano progettato di
sposarsi tra qualche anno. Poi lei lo tradì. Ultimamente però Antonio aveva
conosciuto una ragazza, di qualche anno più piccola. L’ aveva incontrata per
strada mentre se ne stava fuori dalla sua piccola autovettura, che si era
arrestata per qualche guasto al motore, così pensava Giulia. Da gentiluomo si
era fermato e le aveva prestato soccorso. La ragazza aveva accettato subito il
suo aiuto, senza pensarci troppo. Sedutosi in macchina Antonio tentò di avviare
l’automobile, che però non rispondeva al comando per il semplice motivo che la
benzina era finita. La ragazza arrossì quando il meccanico le comunicò qual’
era il motivo, per cui l’auto si era fermata. Successivamente a quell’ incontro
fortunato, i due si scambiarono i contatti telefonaci e la stessa sera presero
a chiamarsi. Durante una giornata normale, riuscivano a sentirsi troppo spesso,
ma a nessuno dei due dispiaceva, poi iniziarono col frequentarsi uscendo
insieme. E tra una pizza, l’intervallo del film, ed una passeggiata scoccò il
primo di una lunga serie di baci. La loro relazione continuò per molti anni,
sino a quando Antonio iniziò col far presente a Giulia, le sue intenzioni serie
per quanto riguardava il loro futuro insieme. Ma la ragazza aveva tutt’ altri
progetti. Era prossima alla laurea e aveva già pronta nel cassetto della
scrivania di casa, la domanda di ammissione per un Master a Londra della durata
di tre anni. Antonio era pronto ad accettare tutto, anche quel possibile
allontanamento, se necessario, perché per lui Giulia era importante, tanto
quanto la sua felicità e per lei avrebbe fatto di tutto, anche se questo voleva
dire aspettarla per tre lunghi anni, lui le sarebbe stato fedele sempre e
comunque, perché non voleva sprecato quell’ amore che tanto aveva atteso. Al
contrario di Giulia. Quella sera Antonio era più giù del solito, era arrivato
al Bar prima di tutti gli altri, aveva preso un caffè, aveva scambiato due
chiacchiere con Mario, come sempre di servizio dietro al bancone. Poi era
uscito fuori per aspettare l’arrivo del resto del gruppo appoggiandosi sul
cofano anteriore della sua Fiat Uno
bianca. Proprio mentre era in attesa, arrivò in sella al suo motorino per metà
ammaccato Paolino. Aveva ventidue anni, si era diplomato da poco, presso un
istituto professionale privato. In paese era conosciuto, perché suo padre
faceva il macellaio e tutti andavano a rifornirsi da lui. Anche a Paolino la
scuola non era mai piaciuta, si svegliava alle dieci del mattino per andarci,
tanto pagava papà. Dopo il diploma aveva deciso di oziare, di prendersi un po’
di tempo per se, uscire più di quanto non faceva già con gli amici, bere, fare
tardi, incontrare gente e uscire con le ragazze. Ma questo era un tasto
dolente. Se c’era qualcuno che con le donne proprio non ci sapeva fare quello
era lui, per il semplice fatto, che era un po’ rozzo anche nei modi, rude in
troppe circostanze, tatto zero. Rideva sempre alle battute sbagliate e i
complimenti non sapeva proprio cosa erano. Tutte doti e qualità, che non
facevano di certo breccia nel cuore di una ragazza. Si diede il caso che
Paolino si era innamorato di una ragazza in paese. Una tipa seria, divertente e
per di più intelligente. Insomma l’opposto di lui. Era una partita persa in
partenza, ma decise di provarci comunque. Per tutta risposta ebbe ben due no a
due proposte di appuntamento. Lasciò passare un po’ di tempo e si ripresentò a
Silvia, la situazione non cambiò più di tanto, anche se, invece di due,
stavolta, i no raggiunsero quota tre. Alla fine, decise di aggirare l’ostacolo
cercando di fare breccia nel cuore delle amiche di lei. Diventò loro amico,
confidente, disponibile in tutto e per tutto e al momento giusto chiese al
gruppo di comari se, sostanzialmente, potevano metterci una buona parola con
Silvia. Ah il potere dell’ amicizia, quanto è grande! Fa realizzare cose
apparentemente impossibili. E fu così che a Paolino fu concesso di uscire con
la tanto desiderata Silvia. Per un caso più straordinario, che possibile
finirono insieme. La storia durò in tutto meno di una settimana, perché Silvia
si ricordò rapidamente per quali motivi non voleva averci niente a che fare
ottenendo la piena comprensione delle sue amiche, che da allora si occuparono
di proteggerla accuratamente da Paolino. Nonostante ciò, il ragazzo continuò
imperterrito, per i mesi successivi alla loro rottura, a corteggiarla, se di
corteggiamento si può parlare il fatto che la pedinava ovunque, la rincorreva
col motorino, le faceva chiamate anonime solo per sentire la sua voce, le
mandava messaggi sul cellulare, che non avevano neanche lontanamente la forma
di una dichiarazione d’ amore. Poi la catastrofe. A Paolino giunse voce che
Silvia si era invaghita di un certo Luciano. Bello, affascinante insomma
proprio il tipo di ragazzo che avrebbe potuto fare breccia nel cuore della sua
amata. Prima che potesse andare alla scoperta di questo suo rivale in amore, li
sorprese a baciarsi appassionatamente proprio sotto il portone di casa di lei.
Quella sera Paolino aveva proprio intenzione di ubriacarsi. Entrato da Mario e
ingurgitò per tre volte di fila il solito. Non aveva neanche fatto caso ad
Antonio fuori. Quando uscì in strada, poco lucido, si accostò all’ amico e
senza neanche salutarlo gli si sedette accanto. Intanto sopraggiungeva a piedi
camminata fiera, passo da felino e sguardo profondo, Michele. Tra i tre era il
più bello. Non c’era ragazza in tutto il paese che non si era concessa a lui.
Tutte erano pazze di quel giovanotto, anche se era fidanzato. Come Antonio
aveva venticinque anni, aveva studiato, si era diplomato come ragioniere, ma
sognava un altro futuro. Da grande, infatti, voleva fare il pompiere e forse ci
poteva riuscire, poiché aveva partecipato al concorso e stava aspettando
l’esito delle varie prove, che aveva sostenuto e intanto continuava a lavorare
alla Fiat di Pomigliano. Era fidanzato, ormai da anni, con Chiara, anche lei
del posto. Si erano conosciuti tramite amici di amici, durante una serata in un
locale. Fu amore a prima vista. Solo dopo pochi mesi, da quando stavano
insieme, Michele decise di presentarla alla famiglia. Il giorno dopo tutto il
paese ne parlava, qualcuno mise persino la voce in giro, che Chiara fosse
incinta o che erano prossimi alle nozze, per spiegare quel gesto. Naturalmente
le chiacchiere, giunsero alle orecchie della famiglia di lei. I genitori di
Chiara le proibirono categoricamente di uscire con Michele, spiegandole che non
era l’ uomo che faceva al caso suo, poiché lei era prossima a diventare una
dottoressa e quindi il suo futuro marito non poteva non essere che uno del
settore. Vedendo la resistenza con cui Chiara si opponeva a quella decisione, i
genitori le proibirono di uscire per mesi, metteva la testa fuori di casa solo
per andare a scuola, per giunta scortata dal fratello più grande, nel caso sua
madre o suo padre non erano disponibili ad accompagnarla. Quella situazione
andò avanti per molto, troppo tempo poi Michele decise di affrontare il
problema presentandosi a casa della sua fidanzata, per parlare con i genitori e
dimostrare loro, che si sbagliavano sul suo conto. L’ incontro andò male, anzi
fu stroncato sul nascere, appena la Signora se lo ritrovò sull’ uscio di casa
gli richiuse la porta sul muso all’ istante. Chiara per riacquistare la sua
libertà aveva dovuto promettere alla sua famiglia, che mai avrebbe rincontrato
Michele e che la loro storia si poteva considerare chiusa. In apparenza fu
così, ma segretamente i due continuarono a vedersi. Così tra alti e bassi, il
loro amore continuava a galleggiare nell’ impervio mare dell’ infedeltà e del
risentimento. Quando Michele giunse accanto ai suoi compari capì senza
chiederglielo, che quella era stata una giornata dura anche per loro, così gli
offrì una birra e tra una chiacchiera e l’altro risollevarono la serata. Al Bar
Mario si incontravano storie, vite, amori, gioie, dolori, esperienze diverse ed
avventure a volte sempre uguali. Non era difficile da trovare, bastava scendere
il corso principale del paese, giunti all’ imbocca della piazza rallentare. Era
proprio lì, sul lato opposto dove si trovava la sede del Comune, era il locale
successivo alla farmacia. Poteva passare inosservato per la sua misera
grandezza, aveva il respiro di una stanza striminzita, dalla forma quadrata.
Il piccolo bancone del bar era
schiacciato sul fondo del locale, con dietro una varietà alquanto essenziale di
bevande da servire, oltre alla imponente presenza della grossa e nera macchina
del caffè. Sulle pareti l’ intonaco neanche si notava, tanto era coperto dalle
vetrine, che non lasciavano al colore un po’ di respiro. Se ci si entrava in
massa si correva il rischio di soffocare, così i clienti si accostavano al
bancone con moderazione, scambiavano due chiacchiere con Mario e poi uscivano
fuori da quel confessionale, sostando per un attimo sotto all’ insegna datata,
scritta sul muro, senza luci ad illuminarla quando la sera cala. Per far notare
il locale, bastava lo sfondo bianco, con la scritta blu e darsi appuntamento lì
al Bar Mario, che era aperto sette giorni su sette, mattina e sera. A distanza
di anni in quel luogo Antonio, Paolino e Michele tornavano ancora, si davano il
solito appuntamento anche se non lo facevano così spesso come prima, perché
Michele ha i turni da pompiere e si sta per sposare con Chiara. Paolino ha
rilevato l’attività di famiglia, ha trovato una brava ragazza che lo ama per
quello che è, così si sono sposati e sono in attesa del loro primo figlio.
Antonio ha trovato lavoro in una fabbrica del Nord Italia, ha comprato casa e
per il momento l’amore può aspettare.
Ersilia Anna Petillo
Tratto dalla raccolta di racconti "CimiTown" in concorso al Premio Cimitile 2012/2013
venerdì 2 marzo 2012
La mia primissima intervista
Eccovi la mia primissima intervista, spero vi piaccia...
Ancora grazie a Vincenzo Torella e alla redazione di "Voce Flegrea".
Al link qui di seguito trovate il tutto :D
http://www.voceflegrea.it/2012/03/02/ersilia-anna-petillo-le-risposte-che-solo-la-scrittura-riesce-a-darmi/
giovedì 1 marzo 2012
Più libri più liberi - Roma
Un salto temporale indietro per poter dire c'ero anch'io anzi c'erano "Le stelle sul soffitto" :D
Super contenta, super fiera del mio libro :D
Super contenta, super fiera del mio libro :D
Freschissimi di stampa e poi...
Come ho scritto tempo fa, il mio libricino partecipa ad un premio che si chiama: "FRESCO DI STAMPA", per autori alla loro prima pubblicazione. Dopo la presentazione ufficiale, tenutasi a Villa Bruno, a S. Giorgio a Cremano, è partito il tour per le scuole, visto che saranno i ragazzi di alcuni licei, a giudicare, dopo aver letto i libri, quale sia stato il più gradito e in più si occuperanno anche di fare delle recensioni ai libri, che poi saranno pubblicate sul quotidiano "Il Roma". Ma ora basta con le formalità e veniamo alla fatidica giornata, che ha visto me e Michela Orsini alle prese con due gruppi di liceali agguerriti...e via con la cronaca.
9 Febbraio 2012
Sveglia ore 7.00
Condizioni climatiche... freddo cane.
Dopo essermi lavata, preparata e fatto una colazione veloce, prendo l'auto direzione casa Orsini. Tempi di percorrenza impossibili, un traffico incredibile ma riesco, in ritardo, ad arrivare. Dopo esserci salutate si parte in direzione S. Giorgio a Cremano, liceo C. Urbani. Accade di tutto. Traffico, strade interrotte, gente impazzita al volante e in netto ritardo riusciamo ad arrivare, dove ci aspetta, con un pò di apprensione la nostra accompagnatrice, Angela Saracino. Entriamo. I ragazzi ci stanno già aspettando (CHE FIGURA), ci scusiamo per il ritardo e si inizia subito il confronto con i lettori in una situazione molto casual, niente di formale e soprattutto senza microfono, proprio come piace a me e a Michela. Per quanto mi riguarda a leggere il mio libro sono stati più i ragazzi che le ragazze, e mi sono molto stupita, però mi ha fatto piacere. Anche chi non lo aveva letto si è interessato e incuriosito ai discorsi che venivano fatti sul libro partecipando alla discussione e facendomi delle domande. Ad esempio si sono sbizzarriti sul perchè di quel titolo "Le stelle sul soffitto", il perchè abbia inserito delle parti di canzoni all'interno della raccolta fino a chiedere degli specifici chiarimenti sui testi. I ragazzi mi sono sembrati molto partecipi e anche gli insegnanti presenti, anche se ce n'era uno....., il cui nome adesso mi sfugge, moto provocatorio soprattutto nei miei confronti. Ma i ragazzi caro Prof. erano dalla mia... Ersilia 1, Prof.0. E ricordo in modo molto simpatico un tipino dai capelli rossi, che mi ha messa a dura prova, è stato molto critico ma mi è piaciuto confrontarmi con lui.... Ora posto la foto così potete vederlo sulla vostra destra....
9 Febbraio 2012
Sveglia ore 7.00
Condizioni climatiche... freddo cane.
Dopo essermi lavata, preparata e fatto una colazione veloce, prendo l'auto direzione casa Orsini. Tempi di percorrenza impossibili, un traffico incredibile ma riesco, in ritardo, ad arrivare. Dopo esserci salutate si parte in direzione S. Giorgio a Cremano, liceo C. Urbani. Accade di tutto. Traffico, strade interrotte, gente impazzita al volante e in netto ritardo riusciamo ad arrivare, dove ci aspetta, con un pò di apprensione la nostra accompagnatrice, Angela Saracino. Entriamo. I ragazzi ci stanno già aspettando (CHE FIGURA), ci scusiamo per il ritardo e si inizia subito il confronto con i lettori in una situazione molto casual, niente di formale e soprattutto senza microfono, proprio come piace a me e a Michela. Per quanto mi riguarda a leggere il mio libro sono stati più i ragazzi che le ragazze, e mi sono molto stupita, però mi ha fatto piacere. Anche chi non lo aveva letto si è interessato e incuriosito ai discorsi che venivano fatti sul libro partecipando alla discussione e facendomi delle domande. Ad esempio si sono sbizzarriti sul perchè di quel titolo "Le stelle sul soffitto", il perchè abbia inserito delle parti di canzoni all'interno della raccolta fino a chiedere degli specifici chiarimenti sui testi. I ragazzi mi sono sembrati molto partecipi e anche gli insegnanti presenti, anche se ce n'era uno....., il cui nome adesso mi sfugge, moto provocatorio soprattutto nei miei confronti. Ma i ragazzi caro Prof. erano dalla mia... Ersilia 1, Prof.0. E ricordo in modo molto simpatico un tipino dai capelli rossi, che mi ha messa a dura prova, è stato molto critico ma mi è piaciuto confrontarmi con lui.... Ora posto la foto così potete vederlo sulla vostra destra....
Liceo C. Urbani di S. Giorgio a Cremano
Dopo l'incontro con il liceo Urbani dinuovo in viaggio io Michela e Angela verso un nuovo istituto il Don Luigi Milani di Napoli. Vi starete chiedendo se stavolta sia andato tutto liscio... bhè a parte asbagliare la strada, perdersi, chiedere informazioni ad un tipo che di raccomandabile non aveva neanche il tono di voce, direi sì... almeno siamo arrivate puntuali. Comunque, veniamo ai ragazzi, come non ricordarsi di loro una banda di donne scatenate. Annoiarsi era praticamente impossibile, si erano anche preparate delle domande scritte, hanno letto dei testi, ci hanno detto cosa e quale significato avevano colto e poi a sorpresa chi non ha letto il libro ha voluto la possibilità di sfogliarlo e di leggere qualcosa che lo aveva colpito. La soglia di criticità qui è stata più bassa, ci siamo attenute più sul concreto, cioè a far capire ai ragazzi e alle ragazze che ciò che sia io che Michela scriviamo nei testi si basa sulla vita concreta, non c'è nulla di astratto o di lontano dala realtà, anzi. E questa è stata la chiave di volta per affrontare vari temi anche sociali e di valori sociali. Anche qui un contributo fotografico....
Istituto Don Luigi Milani, Napoli
In conclusione che altro scrivere, la giornata è stata incredibile mi sono molto divertita, confrontata, ho dibattutto, ho difeso il mio libro, ho svelato molte curiosità e sono molto felice del fatto che i ragazzi abbiano letto il mio libro. Sono fiera di poter affermare a chi mi dice che i giovani e gli adolescenti non leggono poesia che si sbaglia e di grosso. Grazie ragazzi spero di rivedervi presto :D. Ersilia.
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