Mara aveva compiuto da poco sedici anni,
quando il padre le comunicò che soldi non ce n’erano per sfamare le bocche di
tutti e nove i figli, che si era fatta grande ed era pure bella. Mara non era
stupida, da quella frase aveva capito cosa il padre stava cercando di dirle
senza essere troppo esplicito. Lei unica figlia femmina, che dopo la morte
della madre nel partorire l’ultimo dei suoi fratelli, con il quale aveva otto
anni di differenza si era occupata della casa meglio di una donna fatta e
sposata. Non conosceva la stanchezza, se sentiva qualcuno dei più piccoli
lamentarsi per qualcosa di stupido e superficiale, lo prendeva a schiaffi così
forte da farlo pisciare addosso. Era sempre triste, non sorrideva mai, forse
perché non c’era niente di cui gioire, non ne aveva neanche il tempo. Sempre
indaffarata tra il bucato, la preparazione del pranzo, della cena, le pulizie
domestiche, la spesa, le commissioni. Andava a fare anche le pulizie a
domicilio per aiutare il padre con le spese e portare qualcosa di soldi in più
in casa. Si mantenevano con un paio di lotti di terra, che avevano attaccati alla
casa, li coltivavano con qualsiasi cosa, che poi vendevano ai vicini o al
mercato. Quanto sudore Mara ci metteva in quella terra, si svegliava presto la
mattina, prima che il sole sorgeva per occuparsi delle piante, non tentava
nemmeno di svegliare il padre, dopo che l’ultima volta che ci aveva provato
l’aveva presa a bastonate. Franchino, l’ubriacone del paese, così era stato
etichettato, la figlia a casa a sgobbare, a provvedere alla famiglia e lui, che
dopo aver passato qualche ora in campagna, se ne andava
al bar in piazza ad ubriacarsi e a sperperare quei quattro soldi che
guadagnava. Quante volte Mara era dovuta alzarsi nel cuore della notte, per
andare a raccattarlo in strada fradicio di birra e di chissà quali altri tipi
di liquore era riuscito a ingurgitare. Per saldare gli svariati conti che il
padre aveva aperto al bar fu costretta a vendere quel poco oro, che aveva
ricevuto come regalo il giorno del battesimo e che la madre le aveva nascosto
gelosamente. Quel vizio non era nato con la scomparsa di sua moglie era
vecchio, lo aveva sempre avuto, la povera Anna, sua moglie, era costretta a
chiudersi in bagno per sfuggire ai suoi attimi di follia, quando tornava casa
zuppo di alcol peggio di una spugna. Alcuni dei figli che Franchino aveva generato
in Anna erano stato il frutto di indegne violenze, che ripetutamente la
poverina sopportava, perché altrimenti quel mostro avrebbe iniziato a
prendersela con Mara. Un padre che odiava sua figlia questo era Franchino e non
faceva niente per nasconderlo. La poverina non gli aveva fatto nulla, era solo
colpevole di non essere nata maschio. Per lui una priorità. La morte di Anna
era stata per Mara una condanna a morte. Non c’ era più nessuno a difenderla, a
insegnarle la vita come andava, cosa era giusta e cosa sbagliato. La ragazza a
proprie spese dovette capire a quale triste destino stava andando incontro e a
quale futuro era stata promessa in sposa. Quante botte ogni giorno era
costretta a prendere senza motivo, all’ inizio piangeva e forte, poi col passare
del tempo e degli anni scendevano solo le lacrime, più per il dolore che
sentiva quando Franchino la percuoteva che per il suo stato psicologico. Si era
temprata non solo nel fisico, ma anche nello spirito. Era divenuta prima del
tempo una donna, non dimostrava la sua giovane età anche nel modo di vestire,
nei gesti, nei discorsi. Quante cicatrici nascondeva sotto i vestiti, più di
quanto in realtà si riuscivano a contare. Era bella Mara, assomigliava a sua
madre così le dicevano in paese. Alta, formosa, carnagione bianca, leggermente
rosata, occhi verdi come smeraldi, capelli castani lunghi un po’ ribelli, naso
delicato e bocca carnosa, rossa. Aveva le mani grandi Mara, quando usciva a
fare la spesa e si portava dietro i più piccoli nel tornare a casa non solo
stringeva tra le mani le buste cariche di roba, ma anche le mani dei suoi
fratelli. Spesso le usava per gesticolare quando parlava, era il suo modo di
fare, poi d’ improvviso smise di farlo, perché un giorno mentre stava lavando i
vetri di casa, vide in che stato si erano ridotte. Tutte screpolate, piene di
tagli, scottature, le unghie erano spezzate in più punti. Se ne vergognò le
strinse all’ interno, formò dei pugni e ripensò a sua madre. Si ricordò di
tutte le volte che le teneva le mani, che le accarezzava i capelli, il viso e
si vergognò di ciò che le sue erano diventate, senza amore, senza dolcezza o
delicatezza. Mara era d’accordo con suo padre sul fatto che ci fossero davvero
troppe bocche da sfamare in quella casa e nonostante più volte le era mancato
il coraggio di aprire la porta di quella casa ed andarsene via, l’ opportunità
di rendere quella speranza realtà le era stata servita su un vassoio d’argento,
ma non nei termini che lei pensava. Mara corse a fare la valigia, senza
obbiettare nulla a quella decisione che il padre le aveva imposto, mentre piegava i pochi vestiti cercava di
farsi i conti in tasca e pensava “Chissà se con i pochi soldi che ho messo da
parte riesco a pagarci un affitto. Mi arrangerò, in qualche modo farò.” Un
pensiero che continuava ad assillarla anche quando dopo aver salutato i
fratelli in lacrime, prese la sua strada mentre Franchino la accompagnava
stringendole la mano e non ne capiva il motivo o dove stavano andando. Era
frastornata, confusa, quella sera era giunta con così tante novità da
sorprenderla e sconvolgerle quella routine, alla quale era stata abituata.
Prima di giungere a qualsiasi tipo di conclusione, che poteva spiegarle, dove
suo padre la stava portando, si ritrovarono sotto l’ arco del paese, dove una
donnaccia di quelle che Franchino conosceva e aveva preso a frequentare dopo la
morte di sua moglie, sostava in attesa di qualche cliente. Ma quella donna,
quella sera non stava aspettando affatto alcun cliente, stava aspettando Mara.
Franchino l’aveva venduta per andarsi a fare un giro di bicchiere in piazza,
subito dopo aver stipulato quella compravendita. Una puttana, ecco cosa era
diventata Mara. Era passata da un padrone all’ altro, nel giro di due passi e a
poca distante da casa. Lei che ancora non aveva dato il suo primo bacio, quella
che i giovanotti del paese li faceva solo sognare quando passava, senza
degnarli neanche di uno sguardo o di una ben che minima attenzione, era a
disposizione di tutti da quel momento in poi. Lei che dalla vita si aspettava
una carezza, un po’ d’ amore ora lo poteva ricevere su appuntamento,
guadagnandoci anche parecchio. Quella donnaccia concluso l’affare se la portò
via, nella stradina che si apriva di lato proprio sotto all’ arco. Arrivò ai
piedi di un casone stretto ed alto, tutto illuminato dentro. Si sentiva anche
della musica provenire dal suo interno, così forte che Mara pensò che forse
c’era qualche festa. Prima di entrare Gianna, questo era il nome di quella
donna, la informò che dentro si stava, effettivamente svolgendo una festa, come
lei sospettava, ma in suo onore. Quello era il benvenuto che le signore di
sotto l’ arco le avevano preparato. Che strano battesimo pensò Mara, che
entrata in un nuovo carcere inaugurò le sue prime volte. Fino ad allora non aveva
mai bevuto qualcosa di alcolico, ballato fino a tardi passando da un uomo all’
altro. Sino ad allora non aveva fatto l’ amore. Gianna disse che era sbronza e
incosciente al punto giusto, per dare il via alla sua carriera, esperta del
settore e padrona della baracca e delle sue sette puttane compresa la nuova
arrivata. Colui che ebbe l’onore di avviare Mara a quella nuova vita fu un
giovane studente universitario, futuro ingegnere. Il suo nome era Guido. Non
era del paese, lui era un ragazzo di città, che di tanto in tanto veniva a trovare i nonni e si intratteneva con le
sue speciali amiche. Era ricco Guido, bello, affascinante, un uomo di mondo.
Poteva avere qualsiasi donna ma come lui sosteneva, solo quelle di sotto l’
arco sapevano amarlo. Qualcuno poteva pensare che in tutta quella orribile
faccenda, Mara, almeno, era stata fortunata ad avere quel ragazzo come suo
primo amante. Quando la ragazza barcollante raggiunse la sua stanza al piano
superiore, a stento riuscì a riconoscere il letto dove si trovava, per gettarsi
sopra. Poco dopo Guido fece la sua entrata. Si avvicinò a quel corpo adagio e
si sedette accanto a lei senza dire niente. Allungò la mano tra i suoi capelli,
ne sentì il profumo poi prese a scostarglieli dal volto. «Mi accarezzi come mi
accarezzava mia madre» gli disse Mara in lacrime. I due presero a conversare,
lo fecero per tutta la notte. La giovane raccontò a Guido ciò che voleva sapere
di lei, senza omettere alcuna bruttura gli raccontò di suo padre, di cosa le
aveva fatto, del perché si trovava in quella casa. Si addolcì solo alla fine,
quando il discorso finì per cadere su sua madre. Non accadde nient’ altro,
trascorsero la notte così e si addormentarono all’ alba. Quando Mara si svegliò
Guido non c’era accanto a lei, era andato già via e le aveva lasciato sul
comodino quanto gli spettava, nonostante non gli si era concessa carnalmente.
Uscita dalla stanza chiese alle sue coinquiline di Gianna, la indirizzarono al
piano di sotto in cucina. Mara scese le scale e la raggiunse. « Era ora, siamo
quasi pronte per pranzare. Non ti preoccupare della sveglia al mattino, qui non
abbiamo orari da rispettare visto che la notte facciamo tardi» disse Gianna. La
novizia, quasi imbarazzata infilò la mano nella tasca dei vestiti e tirò fuori
i soldi che Guido le aveva lasciato, li allungò a Gianna senza dirle niente.
«Sembra che tu sappia già come funzionano le cose qui» sentenziò la
proprietaria del bordello, che continuò spiegandole che sarebbe stata lei a
prenderle gli appuntamenti e a procurargli un giro sicuro di clienti. Gianna
non era solo la proprietaria ma anche l’ amministratrice di quel bordello.
Tutte le sere usciva di casa, abiti succinti e trucco provocante, e si
posizionava, sigaretta tra le mani, sotto l’arco. Era lei che adescava ed accoglieva
i clienti indirizzandoli verso la casa del piacere, dove le ragazze poi
dovevano fare il resto. Mara non doveva pagare alcun affitto lì, da ogni
entrata veniva presa una percentuale per Gianna e i servizi che la donna le
metteva a disposizione come la biancheria pulita, il cibo, acqua, luce e il
resto alla fine del mese le veniva dato come compenso per il lavoro svolto.
«Hai capito?» le chiese Gianna. «Certo» rispose Mara, che se ne tornò in camera
dove si rinchiuse per tutta la giornata saltando pranzo e cena, in attesa che
la sera giungesse. Come le batteva forte
il cuore, quante domande in testa le rimbombavano fino quasi a fargliela
scoppiare, l’ansia le strozzava il respiro, si sentiva soffocare, cominciò con
l’andare su e giù per quella stanza nervosamente. Poi dei colpi alla porta la
bloccarono. “ Cosa faccio” pensò e ancora “Apro. Forse è stata la mia
immaginazione”. Altri colpi bussarono alla sua porta, poi una voce «Mara, posso
entrare? Sono Guido». Mara si precipitò ad aprire quella porta. Era felice nel
vedere che quel ragazzo, che la sera prima le aveva fatto compagnia era
tornato. Mara cercò di parlargli dei soldi, voleva ringraziarlo per averla
pagata anche se non era accaduto nulla ma Guido, forse inteso il discorso,
deviò chiedendole come aveva passato la sua prima giornata nel bordello. Quando
seppe, che non aveva toccato cibo né a pranzo, né a cena e che non era uscita
da lì dentro, le ordinò di darsi una sistemata «Ti aspetto giù in macchina,
andiamo a cena fuori». Per Mara quella fu la sera più bella della sua vita, ma
anche la sua prima volta in compagnia di un ragazzo, insomma il suo primo
appuntamento. Si sentiva bellissima, anche se non indossava nulla di speciale,
perché Guido la faceva sentire così, le faceva sempre troppi complimenti. Dopo
aver cenato i due fecero una passeggiata, poco distante dal ristorante dove
erano stati. Come si abbracciavano, sembravano due fidanzati che stavano
insieme da anni e in uno slancio emozionale Mara si avvicinò alle labbra di
Guido e lo baciò. «Hai rovinato tutto» disse il ragazzo. Mara si spaventò, nel
vedere l’espressione sul viso di lui incupirsi, tutta d’ un tratto. Guido le
afferrò il braccio e la portò di forza in macchina, accese la vettura e
cominciò a guidare spedito in direzione del bordello. Mara voleva chiedergli
cosa aveva fatto di così grave, voleva cercare di calmarlo ma non ne aveva il
coraggio. Giunti a destinazione, Guido la riafferrò per il braccio e salì con
lei in camera. Quella sera si consumò la paura, che Mara aveva trattenuto nel
cuore per due giorni. Al mattino quando Guido si alzò per andarsene la trovò
nuda in un angolo della stanza, serrata sulle ginocchia e gli occhi spalancati.
Quel mostro dopo essersi rivestito, tirò fuori dalla tasca alcune banconote e
gliele tirò in faccia. «Siete tutte uguali!» esclamò e se ne andò. Da quel
giorno, Mara divenne la puttana più richiesta di sotto l’arco, tutti la
volevano, Guido le aveva fatto un ottima pubblicità e lei aveva saputo
mantenere alta la sua reputazione. Di un solo uomo fece espressamente richiesta
a Gianna di non volere tra i suoi clienti, Guido. Lei non chiese il perché e
Mara non si perse in alcuna spiegazione. Solo una volta si rividero,
scontrandosi per le scale del bordello «Sei sempre la più bella» le disse Guido.
Quanto male le fece quella frase, pensava di averlo dimenticato, lui quello che
le aveva insegnato a fare la puttana, quello di cui ingenuamente si era
innamorata, quello che credeva essere diverso da tutti gli altri uomini altro
non era che uguale a tutti gli altri clienti, che ogni sera, nel bordello di
sotto l’arco la bella Mara riceveva, regalandogli il suo finto amore come fanno
quelle uguale a lei.
Ersilia Anna Petillo
Racconto tratto dalla raccolta di racconti CimiTown
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